Notule

 

 

(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIX – 26 marzo 2022.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]

 

Autismo: scoperto perché ha disturbi del sonno il 50-80% degli affetti da ASD. La delezione del gene Bmal1 dell’orologio biologico principale dell’organismo, sito nel nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo e implicato nella genesi del ritmo sonno-veglia, causa un fenotipo indistinguibile da quello dei modelli sperimentali di disturbo dello spettro dell’autismo (ASD). Mutazioni di Bmal1 potrebbero causare varie forme di ASD e altri disturbi neuroevolutivi. [Cfr. Dong Liu et al., Molecular Psychiatry – AOP doi: 10.1038/s41380-022-01499-6, 2022].

 

Pandemia: si continua a morire di COVID-19 ogni giorno, ma non si vuole evitarlo. Il 22 marzo 96.365 nuovi casi e 197 morti; il 23 marzo 76.260 nuovi positivi e 153 morti. Il 9 marzo del 2020 con 1.797 contagi, ossia con la cinquantatreesima parte dei contagi del 22 marzo scorso, l’Italia entrò in lockdown e vi rimase fino al 21 aprile; è vero che non c’erano i vaccini e la sospensione degli incontri sociali costituiva l’unico vero strumento per porre argine alla diffusione del virus, ma è anche vero che le attuali varianti stanno contagiando i vaccinati, che anche protetti da tre dosi stanno diffondendo il virus, si stanno ammalando e in qualche caso stanno andando incontro ad esito infausto. Il bollettino del 24 marzo è ancora impressionante: 81.811 nuovi casi e 182 morti. La settimana prima, il 17 marzo, erano 79.895 (+ 47,3% della settimana precedente) con 128 decessi. Il trend è evidente, ma soprattutto è evidente un fatto: con questo stile di vita sociale (scuole aperte, trasporti pubblici affollati, assembramenti, ecc.) si continua con ben oltre i 1000 morti di COVID-19 per settimana. E senza un vaccino immunologicamente specifico per la neutralizzazione delle varianti[1] la quarta dose non potrà fare nulla di apprezzabile, se non quello che hanno fatto la seconda e la terza dose nei primi mesi dalla somministrazione: accrescere la resistenza immunitaria ai ceppi tipici di SARS-CoV-2.

 Abbiamo accolto con grande favore l’Ordinanza del Ministero della Salute entrata in vigore dal primo marzo che, per l’ingresso in Italia da tutti i paesi esteri, obbliga al possesso del PLF (Passenger Locator Form) e della Certificazione Verde COVID-19, stabilendo la quarantena per chi non presenti anche uno solo dei due documenti e l’obbligo del tampone molecolare al termine del periodo. Ma è lecito chiedersi: perché non adottare queste misure prima? Noi chiedevamo la chiusura delle frontiere al transito passeggeri quando non si disponeva dei vaccini e la riapertura controllata dopo il completamento della copertura immunitaria. In altre parole, si doveva fare un anno fa ciò che si è fatto ora: si sarebbe evitata questa strage causata dalle varianti non neutralizzate dai vaccini.

In alcune ASL su tutto il territorio nazionale si continua a raccogliere dati sulle catene di contagi, e noi siamo venuti a conoscenza di una parte degli esiti. Si tratta di dati parziali e provvisori, ma a nostro avviso significativi, perché omogenei in tre diverse regioni italiane: in oltre il 50% dei casi di nuovi contagi omicron indagati si è potuto risalire a una trasmissione scolastica. La scuola “in presenza” è sicuramente responsabile di una quota significativa delle morti quotidiane da SARS-CoV-2.

L’Austria consente un confronto significativo, sia perché è un paese vicino (i nostri soci hanno stretti rapporti e scambi con Austriaci), sia perché anche lì, come in Italia, c’è disaccordo tra le categorie produttive e nella popolazione sulle misure preventive da adottare.

In gennaio, la sanità austriaca ha registrato il picco massimo di 18.427 nuovi contagi (Kronen Zeitung), mai raggiunto dall’inizio della pandemia: la reazione è stata lo sconsigliare tutti gli spostamenti non necessari e porre in essere restrizioni (dopo il lungo ed efficace lockdown di novembre-dicembre) con controlli capillari. Si ricorda anche che in Austria vige l’obbligo di vaccinarsi per legge. In Italia, con più del quadruplo dei contagi e un tasso di positività più elevato, si è continuato a puntare solo sulla vaccinazione, ma senza renderla obbligatoria e nonostante sia notoriamente inefficace contro le ultime varianti, in particolare “omicron”. In questi giorni, in Austria, sono state varate misure più restrittive per tutto il territorio nazionale e un’articolata lista speciale per l’area di Vienna.

Il 5 dicembre in Austria, dopo due settimane di lockdown, i contagi erano dimezzati: un’ulteriore, ennesima evidenza per indurci a considerare l’adozione di questa misura per il 2022. Noi abbiamo fatto presente dall’inizio della pandemia, in tutte le sedi e col supporto di colleghi virologi, infettivologi e immunologi, la necessità di impiegare mascherine a filtraggio virale KN95 (FFP2) concepite per proteggersi dai virus e non soltanto, come quelle chirurgiche e di ogni altro tipo visto in giro, per fare ostacolo al passaggio di cellule batteriche, che hanno dimensioni notevolmente maggiori. Non comprendiamo perché si sia dovuto attendere due anni per l’obbligo delle mascherine “giuste” nei trasporti e in alcune altre sedi e non sia stabilito l’obbligo fin dall’inizio in ogni luogo.

Visto che la raccomandazione dell’OMS, degli esperti di MERS e dell’NIH (Antony Fauci) di continuare a impiegare tutte le misure di prevenzione anche dopo la copertura vaccinale di massa, è rimasta in massima parte disattesa in Italia, facciamo appello al buon senso e alla buona volontà di chi legge queste righe, rivolgendogli l’esortazione a limitare al minimo le occasioni di incontro sociale, proteggendosi bene con mascherine KN95, tenendosi a distanza tale da non respirare nello stesso volume d’aria di altre persone (le scuole andrebbero chiuse fino a crollo dei contagi), trattenendosi poco tempo negli ambienti chiusi, evitando ambienti affollati anche di persone provviste di mascherina, evitando ogni contatto fisico con estranei e, nel caso inavvertitamente avvenga, come nel caso di una stretta di mano, “sanificarsi” o lavarsi immediatamente e accuratamente per evitare di portare la mano, che potrebbe essere contaminata da materiale microscopico contenente il virus, a contatto con le mucose oronasali o con la congiuntiva oculare. [BM&L-Italia, marzo 2022].

 

La connessione tra le aree motoria e recettiva del linguaggio è sorprendentemente sottile. Burke Rosen e Eric Halgren, analizzando i dati del connettoma umano con DTI e combinandoli con rilievi istologici, hanno scoperto che il numero di assoni che effettivamente collega nel cervello tutte le regioni fra loro distanti (tratti di proiezione intracerebrali) è molto minore di quanto si è fino ad oggi creduto. Ad esempio, dei 130 milioni di assoni che costituiscono il fascicolo arcuato (o tratto arcuato) solo 1-2 milioni, cioè meno del 2%, connette tra loro le aree di Broca e Wernicke, ossia la 44 e la 22 secondo Brodmann. [Cfr. PLoS Biol. 20 (3): e3001575, 2022].

 

Risposta a una domanda sui concetti nella teoria della mente di Gerald M. Edelman. Rispondiamo qui a una domanda su una questione affrontata nell’illustrazione della teoria neurobiologica della mente di Edelman fondata sulla selezione dei gruppi neuronici (TSGN).

I concetti precedono il linguaggio sia nella filogenesi che nell’ontogenesi. Alla base dei concetti vi è la categorizzazione percettiva, ossia il processo di risposta selettiva dei gruppi neuronici all’informazione sensoriale, che determina nel cervello un’organizzazione del materiale informativo proveniente dai sensi secondo categorie. Tali categorie sono costituite da mappe neuroniche aderenti ai caratteri fisici degli stimoli del mondo esterno: i concetti, in quanto astrazioni, consistono di elementi astratti da queste mappe in mappe di ordine superiore, formate attraverso l’attività dei sistemi globali. Queste “mappe di mappe” dell’attività neuronica sono per Edelman il modo in cui un animale concepisce il mondo.

Illustrando la teoria di Edelman, Giuseppe Perrella osservava che il nostro pensiero, strutturato e articolato secondo il linguaggio verbale che impieghiamo, è costituito da concetti formati come astrazioni in questa struttura simbolica, e dunque la nostra idea di “concetto” potrebbe essere essenzialmente derivata dal processo ideativo cosciente che “si guarda allo specchio”, che esamina sé stesso e, pertanto, applicarsi bene solo al livello dei contenuti mentali coscienti. Il dubbio del nostro presidente era relativo alla possibilità di riconoscere al livello dei processi neurali la base circoscritta e specifica dei singoli concetti, e quindi definire un’attività neuronica sinaptica discreta come un codice identitario per ciascun concetto. [BM&L-Italia, marzo 2022].

 

L’antabuse può prevenire la cecità da degenerazione della retina. L’antabuse (disulfiram), un farmaco prescritto in psichiatria per il trattamento dell’alcoolismo, si è rivelato efficace nel prevenire la cecità da degenerazione retinica in modelli di retinite pigmentosa. Il disulfiram inibisce la sintesi di acido retinoico, responsabile dell’iperattività patologica delle cellule gangliari della retina, che contribuisce alla cecità da degenerazione di coni e bastoncelli, come hanno dimostrato Michael Telias e colleghi. [Science Advances 8 (11): abm4643, March 18, 2022].

 

Una parola dal nostro presidente sulla verità dopo la notula dello scorso 12 marzo. (Questioni di verità nel discorso scientifico: necessità di superare gli errori del passato).

I filosofi, nell’affrontare l’arduo e affascinante tema della verità, non possono ignorare il pesante fardello ereditato da secoli di studi e riflessioni sui problemi sollevati dalla formulazione di un concetto tanto indispensabile nella logica e nella vita quanto difficile da delimitare nel senso con le parole. Noi, a differenza dei filosofi, non abbiamo questo vincolo professionale, e possiamo agevolmente entrare nel discorso filosofico sulla verità, seguendo la traccia del nostro interesse, e imparare tanto dalle acute elaborazioni dei pensatori di ogni epoca, ma possiamo anche uscirne e, applicando i criteri neuroscientifici correnti all’analisi del rapporto tra cognizione e parola, fare una semplice considerazione: al termine verità si fanno corrispondere concetti diversi, e molti dei problemi logico-filosofici nascono dal voler tenere insieme tutti questi significati in un unico valore semantico attribuito al termine lessicale. Ma i linguisti ci hanno insegnato che le parole nascono come aiuto alla comunicazione del pensiero e non come vincolo che l’articolazione verboacustica o la rappresentazione verbografica di un lemma impongono all’ideazione umana. Sono le parole ad essere al servizio del pensiero, e non viceversa; per questo non vedo perché ci si debba lambiccare il cervello per fare una sintesi di concetti diversi o tenerli insieme ad ogni costo sotto l’ombrello tradizionalmente grande e ospitale del vocabolo “verità”, e non impiegare termini o locuzioni specifiche per ciascun concetto, come peraltro facevano gli antichi Greci.

Un problema storicamente legato alla multi-significatività di una parola, anche se non della portata storico-filosofica della verità, è quello della coscienza. Il mio maestro Gerald Edelman, per evitare ogni rischio di equivoco nel riferire le basi neurali cerebrali che stava indagando, impiegava le varie definizioni lessicografiche della parola consciousness (coscienza), individuate e distinte mediante un numero progressivo. Aveva preso l’idea da Natsulas che, per discutere esaustivamente della coscienza, aveva attinto all’Oxford English Dictionary con le sue sei diverse accezioni del termine definite coscienza1, coscienza2, ecc., fino a coscienza6. Si dovrebbe fare qualcosa di simile per la verità.

Oggi, tuttavia, definita l’agevole distinzione tra la verità come a-lētheia, ossia il non nascosto, rivelato o evidente, e la verità come orthotēs, ossia il giusto, il corretto contrapposto all’erroneo, le cose si complicano alquanto per le altre possibili accezioni del termine, soprattutto a causa di una pervasiva diffusione di giochi di manipolazione provocatoria dei concetti da parte di autori cui è stato acriticamente concesso un credito illimitato, proponendo le loro tesi nell’insegnamento scolastico, con l’effetto di far assurgere delle forzature inconsistenti e prive di utilità conoscitiva a opinione corrente.

Per avere un’idea di questo problema basta consultare il saggio su verosimile-inverosimile del Grande Dizionario Enciclopedico della UTET, che figura nel volume “I Concetti” della sezione Gli Strumenti del Sapere Contemporaneo: è ripartito in due paragrafi, il secondo dei quali si intitola La letteratura come menzogna. Il lessico provocatorio di qualche autore che ha cercato di attrarre l’attenzione su di sé forzando un concetto nietzschiano e presentando tutta l’arte letteraria, figurativa e musicale come menzogna, ha ottenuto la risonanza riservata in passato al pensiero di Kant o Hegel.

Anche un bambino comprende e sa che la qualifica di menzogna è attribuita quale espressione di un giudizio morale negativo a una dichiarazione che trae in inganno chi la apprende affermando il falso al posto del vero. Il gioco non è menzogna o falsità, ma finzione concordata: non si inganna nessuno giocando a fare i re, le regine o i supereroi; così la creatività e la destrezza ottenuta con lungo e faticoso esercizio nelle arti, sono impiego dell’ingegno, non inganno! In antropologia culturale si è seguito spesso il filo d’origine della letteratura dalle favole, narrate ai bambini con intento pedagogico e per questo distinte dalle fiabe, volte solo a suscitare piacere nell’ascolto; e quale bambino direbbe a un genitore o a un nonno: “Sei un bugiardo perché hai detto che la volpe e il lupo parlano!”? La precoce comprensione da parte del bambino di questo “gioco narrativo” è parte dello sviluppo cognitivo normale, e il possesso di questa abilità è valutato, insieme con la capacità di comprendere le metafore, mediante specifici test.

Ovviamente, il considerare la letteratura e tutte le arti in generale “menzogna” nasconde l’intenzione di replicanti nietzschiani di svilire la componente di giudizio morale inclusa nel valore semantico della parola: uno scopo perseguito nel quadro generale di una militanza volta alla cancellazione della morale giudaico-cristiana. Per costoro il male non esiste e, dunque, “menzogna” e “creazione” diventano sinonimi. Ma, considerato che questa intenzione non è stata riconosciuta o compresa da molti autori contemporanei, che pure hanno contribuito a diffondere questa provocazione paradossale come un ordinario punto di vista, possiamo affermare che i suoi contenuti hanno fornito un apporto non irrilevante alla confusione che regna sovrana nella comunicazione di massa.

Nel trasferimento mediatico delle idee, come delle notizie, nella massima parte dei casi è in uso un veicolo verbale gravato da un alto tasso di improprietà di linguaggio, un basso grado di strutturazione sintattica e un’assenza quasi completa di ragionamenti. In questa realtà, da vent’anni a questa parte, si sente usare sistematicamente la parola verità per dire versione. Un pregiudicato, un testimone, una vittima o un accusato intervistato, per i comunicatori di professione non dice la “sua versione dei fatti”, oppure “ciò di cui è a conoscenza” ma “la sua verità”.

Anche in questo caso, il misconosciuto innesco della moda si perde nel tempo e si può far risalire al proposito ideologico di sostenere che “la verità non esiste”, coll’intento di colpire la Verità identificata con il Logos giovanneo e, quindi, con la divinità stessa, secondo la volontà dell’Anticristo nietzschiano. Alcuni pensatori contemporanei hanno addirittura dedicato saggi all’interpretazione dell’uso improprio del vocabolo verità nei media, ma leggendo quegli scritti ci si accorge che sono stati concepiti senza interrogare i giornalisti responsabili dell’uso improprio del vocabolo; se lo avessero fatto, si sarebbero resi conto che non si trattava di una questione meritevole dell’attenzione dei filosofi, ma solo di errori che richiedevano la correzione da parte di un linguista.

La domanda che mi sono posto tanti anni fa, da giovane studente di medicina, con poche speranze di ottenere una risposta scientifica immediata, era questa: “La verità esiste solo nella dimensione del mentale, quale concetto reso esplicito dalla elaborazione cognitivo-linguistica, oppure esiste in qualche forma nella fisiologia cerebrale un suo antecedente biologico quale, ad esempio, la capacità intrinseca del cervello di discriminare il vero, inteso come naturale, vivo ed effettivo, dal falso, inteso come artificiale, finto, inanimato o inefficace?”

Accantonando i ragionamenti che mi avevano portato a formulare in questo modo l’interrogativo, perché con ogni probabilità risulterebbero lunghi e noiosi, dico solo che nel mio percorso mentale di riflessioni ero stato attratto e colpito dalla capacità di bambini, anche molto piccoli, di distinguere il naturale dall’artificiale e di non considerare il “televisivo” equivalente al reale. In ogni caso, continuando a riflettere sul cervello umano, cercavo una sorta di processo neurobiologico elementare di elaborazione della percezione che potesse costituire la base su cui si sarebbe sviluppata l’astrazione concettuale della verità. In altri termini, mi sembrava ragionevole ipotizzare che uno dei modi elementari di concettualizzare la realtà avesse fatto da base e fondamento alla categoria mentale del vero.

Visto che eccettuata la psicoanalisi, però vincolata a un modello simbolico che non andava oltre la rappresentazione della psiche inconscia, nessuna disciplina scientifica si occupava di indagare le basi del senso di verità nell’uomo, decisi di leggere tutto quanto potevo della ricerca sulla neurobiologia della cognizione animale, sperando di trovarvi almeno qualche risposta su come il cervello dei mammiferi distingue tra la categoria di ciò che è attuale-efficace-rilevante e la categoria di quanto è inattuale-inefficace-irrilevante. Anche se il dubbio che questi processi avessero ben poco a che fare con la verità della cultura umana e col suo potere evocativo nei contesti comunicativi, non mi ha mai lasciato durante quelle letture. Ero consapevole che lo stesso legame ipotetico tra senso della realtà animale e concezione della verità umana poteva apparire come un arbitrio, senza una prova sperimentale del contrario.

E in cosa sarebbe consistita questa prova? Mi sono chiesto a lungo, o almeno fino a quando mi è parsa plausibilmente sufficiente, quale prova, una dimostrazione nell’ordine del legame accettato tra filogenesi e ontogenesi: accertare e dimostrare in bambini molto piccoli l’esistenza di una sorta di processo naturale simile a quello animale per distinguere tra le due categorie.

Effetti di verità. Il mio professore di anatomia, in una lezione sulla complessità delle connessioni talamiche, per illustrarne il ruolo nell’integrazione delle informazioni sensoriali e limbiche necessaria a definire i contenuti di coscienza, citava il caso delle madri di militari non tornati dal fronte di guerra, alle quali un soldato comunicava la morte del figlio: alla notizia la donna talvolta cadeva a terra morta. Riflettevo in questi termini: sicuramente la possibilità della morte del figlio era stata considerata dalla madre, ma la reazione fatale era avvenuta per il passaggio dalla probabilità all’attualità, perché la notizia era stata ritenuta certa e vera, in quanto comunicata da un commilitone del figlio. La mente della madre aveva registrato la verità della comunicazione come realtà, al pari dell’aver visto il figlio morire. Le parole avevano veicolato il vero della morte, uccidendo la donna.

Decisi che avrei studiato per scoprire il correlato neurofunzionale della verità di una comunicazione ritenuta dal cervello equivalente a una realtà esperita come attualità sensoriale.

Fino ad oggi non ho avuto la possibilità di compiere quegli studi e so che, nonostante i progressi della ricerca neuroscientifica di questi anni, rimane difficile concepire una sperimentazione adeguata in quanto a strategia, metodi, tecniche e procedure, per ottenere informazioni sul modo ancora misterioso adottato dal cervello per attribuire il cruciale valore di verità. [Giuseppe Perrella, BM&L-Italia, marzo 2022].

 

Un punto di incontro tra scienza e fede: il razionalismo cristiano. Contro le tesi riemergenti, ma di stampo positivista e meccanicista ottocentesco, secondo cui ogni espressione religiosa può essere ricondotta a irrazionalismo superstizioso, alcuni filosofi sono recentemente intervenuti sostenendo che, nella tradizione occidentale moderna, il razionalismo scientifico è stato di cultura cristiana; e a sostegno di questa tesi hanno citato numerosi esempi biografici fra cui quello dei matematici filosofi René Descartes e Blaise Pascal.

Ma perché questo è stato possibile? La risposta si trova proprio nel Vangelo. A differenza di quanto accade nelle altre religioni, il Logos, il Verbo incarnato, richiama costantemente alla ragione per l’interpretazione della realtà, come quando spiega che il crollo della torre di Siloe è accidentale e non una punizione divina (erano forse più peccatori degli altri quelli che ne furono investiti?) o che le malattie congenite non sono una punizione per i peccati dei genitori. Ma un esempio molto efficace è dato dall’episodio del Vangelo di Matteo in cui Gesù ha guarito un indemoniato cieco e muto, rendendolo vedente, parlante e libero dall’odio del maligno, e i farisei lo accusano di aver operato con i poteri di Satana. Gesù non si scaglia contro di loro per la menzogna blasfema, ma propone un ragionamento e invita i farisei a ragionare, per rendersi conto di quanto sia assurda la loro accusa: “Ogni regno discorde cade in rovina, e nessuna città o famiglia discorde può reggersi. Ora se Satana scaccia Satana, egli è discorde con sé stesso; come potrà dunque reggersi il suo regno? E se io scaccio i demoni in nome di Beelzebul, i vostri figli in nome di chi li scacciano? Per questo loro stessi saranno i vostri giudici. Ma se io scaccio i demoni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio. Come potrebbe uno penetrare nella casa dell’uomo forte e rapirgli le sue cose, se prima non lo lega? Allora soltanto gli potrà saccheggiare la casa” (Mt 12, 25-29). [BM&L-Italia, marzo 2022].

 

Notule

BM&L-26 marzo 2022

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Abbiamo già affrontato i problemi - primo fra tutti il rapido sviluppo di innumerevoli nuove varianti quando il contagio si diffonde molto - che rendono quasi impossibile la realizzazione di tali vaccini.